A partire dal disastro ambientale del 1969 causato dalla fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California, le questioni ambientali entrano in modo dirompente nell’agenda politica internazionale. La ratio che guida questa crescente volontà è riassumibile in una frase che pronunciò il senatore democratico-ambientalista del Wisconsin, Gaylord Nelson: “Tutte le persone, a prescindere dall'etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano ed equilibrato”.
È il 22 aprile 1970 quando, ispirandosi al suddetto principio, 20 milioni di cittadini americani si mobilitano per una manifestazione a difesa della Terra. I gruppi che fino a quel momento avevano combattuto singolarmente contro l'inquinamento da combustibili fossili, contro l'inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, contro un’impropria gestione dei rifiuti tossici e dei pesticidi, contro la progressiva desertificazione e l'estinzione della fauna selvatica, improvvisamente comprendono di condividere valori comuni.
È dal quel momento che il 22 aprile prende il nome di Earth Day: la Giornata della Terra.
Nel corso degli anni l'organizzazione dell'Earth Day si dota di strumenti di comunicazione più potenti, arrivando a celebrare nel 1990 il proprio ventesimo anno di fondazione con una storica scalata sul monte Everest in cui un team, formato da alpinisti statunitensi, russi e cinesi, realizza un collegamento mondiale via satellite. Al termine della spedizione tutta la squadra trasporta a valle oltre 2 tonnellate di rifiuti lasciati sul monte Everest da precedenti missioni.
Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all'Earth Day continua a crescere superando oltre il miliardo di persone in tutto il mondo: è l'affermazione della “Green Generation”, che guarda ad un futuro libero dall'energia da combustibili fossili, in favore di fonti rinnovabili, alla responsabilizzazione individuale verso un consumo sostenibile, allo sviluppo di una green economy e a un sistema educativo ispirato alle tematiche ambientali.
Quanto conosciamo la nostra Terra?
Acqua, Biodiversità, cambiamento climatico, rapporto uomo-ambiente: con il nostro team di sostenibilità abbiamo affrontato 5 quesiti fondamentali per mettere alla prova la nostra conoscenza a riguardo.
Quali sono le prime tre nazioni in Europa per consumo di acqua pro capite?
Con 9,2 miliardi di metri cubi, l’Italia detiene nel 2018 il primato dell'Europa dei 27, ormai più che ventennale, del volume di acqua dolce complessivamente prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei. In termini pro capite il divario tra i paesi europei è ampio. L’Italia, con 153 metri cubi annui per abitante, si colloca in seconda posizione, mentre la Grecia è in cima alla classifica (157 metri cubi), a grande distanza dai successivi paesi in graduatoria: Irlanda (128), Bulgaria (119) e Croazia (111). (ISTAT)
Quante specie viventi tra terrestri e marine abitano la terra?
In realtà non si ha una vera e propria risposta certa a questa domanda.
Gli scienziati non si sono ancora fatti una chiara idea di quante specie, dagli organismi unicellulari alle balene, esistano sulla faccia della Terra. Diversi studi riportano che il numero delle specie viventi sul pianeta possa variare da 4 a 100 milioni. Nel 2011, uno studio del "Census of Marine Life", sono circa 8.7 milioni le specie viventi che abitano la Terra, con un margine di incertezza di 1,3 milioni di specie in più o in meno. Di queste 6,5 milioni sono organismi che vivono sulla terra, e 2,2 milioni nei mari (± 180 mila).
Solo una parte di esse, però (da 1,5 a 1,8 milioni), è attualmente conosciuta e, come dimostrano le scoperte recenti, è possibile che ci siano ancora mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. Si ritiene che l’86% delle specie terrestri e ben il 91% di quelle marine siano del tutto sconosciute, e che meno dell’1% dei batteri è stato catalogato!
La biodiversità però continua a perdere pezzi: si stima che ogni giorno scompaiano circa 50 specie viventi. Attualmente la biodiversità si riduce a un ritmo da 100 a 1000 volte più elevato rispetto al ritmo ‘naturale’. Questo fa ritenere che siamo di fronte a un’estinzione delle specie superiore a quella che la Terra ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri.
Da quali aree geografiche deriva la maggiore e la minore quantità di emissioni di CO2 pro-capite?
Se avete pensato al Nord America e all’Africa Centrale, allora avete indovinato.
Nel caso dell’Africa, sebbene nel Nord si emettano 2,7 tonnellate di CO2 pro capite, mentre nel Sudafrica 2,1 tonnellate di CO2 pro capite, il centro del continente conta solo 0,7 tonnellate di CO2 pro capite, risultando la zona geografica con la minore quantità di emissioni di CO2.
La grande derivazione di emissioni di CO2 arriva invece dal continente Americano e nello specifico dal Nord America:
- Il Nord America produce 12,3 tonnellate di CO2 pro capite, risultando infatti in cima alla lista;
- l’America Centrale conta 2,7 tonnellate di CO2 pro capite;
- nel Sud America infine si parla di 6,8 tonnellate di CO2 pro capite.
Per quanto riguarda il resto del mondo in Asia vengono emesse 4,2 tonnellate di CO2 pro capite, in Europa sono 5,9 tonnellate, nel Medio Oriente 9,2 tonnellate e infine in Oceania 3,5 tonnellate di CO2 pro capite. Tra gli Stati è l'Arabia Saudita a detenere il primato, insieme a Stati Uniti, Australia e Canada.
Com’è ripartita la gestione dei rifiuti in Italia?
Nel nostro Paese lo smaltimento in discarica interessa il 20% dei rifiuti urbani prodotti.
Agli impianti di recupero di materia per il trattamento delle raccolte differenziate viene inviato, nel suo complesso, il 51% dei rifiuti prodotti: il 23% agli impianti che recuperano la frazione organica da rifiuti domestici (umido + verde) e oltre il 28% agli impianti di recupero delle altre frazioni merceologiche della raccolta differenziata.
Il 18% dei rifiuti urbani prodotti è incenerito, mentre l’1% viene inviato ad impianti produttivi, quali i cementifici, centrali termoelettriche per essere utilizzato all’interno del ciclo produttivo per produrre energia. L’1% viene utilizzato, dopo adeguato trattamento, per la ricopertura delle discariche, il 5% viene inviato a ulteriori trattamenti quali la raffinazione per la produzione di CSS o la biostabilizzazione, il 2% è esportato (514 mila tonnellate) e l’1% viene gestito direttamente dai cittadini attraverso il compostaggio domestico (275 mila tonnellate).
Che cos’è l'eco-ansia?
L’ eco-ansia sarebbe il risultato di una fitta rete di implicazioni dirette e indirette della crisi climatica. Scatenata dalla concatenazione tra gli eventi estremi (clima torrido e ondate di calore, tifoni, bombe d’acqua…) e le loro conseguenze sul territorio (siccità prolungata, inondazioni, incendi, desertificazione, perdita di biodiversità…) e nella società (insicurezza alimentare e idrica, instabilità economica, migrazioni forzate…). Secondo l'IPCC, l'organismo delle Nazioni Unite che si occupa del cambiamento climatico, l'aumento delle temperature, traumi subito a causa di eventi estremi e perdite della cultura e del ritmo di vita comportano anche importanti sfide alla salute mentale. Questi si aggiungono agli esiti dannosi per la salute del corpo (fame, malnutrizione, stress da calore, patologie e traumi indotti dal dissesto idrogeologico…) di migliaia di persone, scaturiscono effetti sulla salute mentale (ansia, panico…). Con l’aggravante che tali disturbi della psiche possono toccare anche chi non vive direttamente i danni tangibili di una alluvione o della scarsità idrica. Secondo un’indagine pubblicata sempre da “The Lancet. Planetary Health”, tre quarti degli intervistati tra 10mila giovani, di età compresa tra 16 e 25 anni di dieci Paesi del nord e del sud del mondo, considerano il futuro “spaventoso”. Il 50% di loro si dichiara triste, ansioso, arrabbiato, impotente, persino colpevole della crisi climatica. L’APA, infatti, studia il fenomeno da tempo, e considera il climate change tra le potenziali cause di numerosi sintomi gravi e comportamenti autodistruttivi. Basti pensare che, secondo quanto si legge in diversi articoli scientifici, alla crisi climatica sarebbero connessi: trauma e shock; attacchi di panico; disturbo da stress post-traumatico (PTSD); ansia; depressione; abuso di sostanze; aggressività; ridotte capacità di autonomia e controllo; sentimenti di impotenza, fatalismo e paura; maggiore ideazione suicidaria. Il secondo volume del sesto rapporto di valutazione dell'Ipcc intitolato “Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability” (Cambiamento climatico 2022, Impatti, Adattamento, Vulnerabilità) è incentrato proprio su come il riscaldamento globale inciderà sulla vita delle persone e inserisce tra le soluzioni di adattamento al cambiamento climatico il monitoraggio, l'accesso ai centri di cura e un controllo degli impatti psicologici causati dal cambiamento climatico.
Parlare oggi di come sta inevitabilmente cambiando il mondo e il nostro rapporto con esso è un primo passo per realizzare quanto sia importante attivarci per conoscere, capire e agire di conseguenza.