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Le parole e il greenwashing

Parole, parole, parole...che spesso si logorano con l’utilizzo, perdono il loro significato originario e diventano contenitori indefiniti, anche vuoti, che il lettore riempie con il senso che desidera attribuirgli di volta in volta. E la parola alla deriva dal suo significato rischia di diventare erratica e talvolta fuorviante.

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Le parole e il greenwashing
15 Settembre 2022

La ricerca del "Green"

Le ricerche di mercato continuano a confermare la crescita di una tendenza per cui i consumatori, e in generale gli stakeholder, mostrano sempre maggiore favore per le aziende che esibiscono comportamenti virtuosi nel campo della sostenibilità. In particolare il comportamento di acquisto è sempre più condizionato da una propensione anche a riconoscere un prezzo superiore ai prodotti cosiddetti “sostenibili”. Le generazioni X e Y sono quelle più influenzate dal tema, e assieme ai "boomerssono molto colpite dall’utilizzo di parole ormai inflazionate come “Green” e “Riciclato”.
Quindi i consumatori sono sempre più attenti a selezionare il brand sulla base del suo posizionamento rispetto ai temi della sostenibilità ambientale e sociale, cercano sempre più un terreno valoriale condiviso sulla base del quale costruire una solida relazione di fiducia di lungo termine.

Come spesso accade non tutti brand sono pronti a questa rapida evoluzione, e tanto meno disponibili ad accettare un sano percorso di riposizionamento del brand verso la sostenibilità, con una costruzione forte e solida delle relazioni con i propri stakeholder e un impegno genuino e concreto sui temi più rilevanti.
Emergono quindi esercizi acrobatici per comunicare una sostenibilità nei fatti inesistente, diffondendo claim che influenzano le scelte degli stakeholder ma spesso sono ingannevoli.

 

Le parole del greenwashing

Una ricerca del 2020 (Onbuy su 3.446 soggetti) aveva già fatto emergere come l’83% dei consumatori si sentisse ingannata dalle affermazioni di sostenibilità riscontrate nei messaggi pubblicitari. E nessuno tra gli intervistati si è sentito di affermare, di ritenere che l’interesse dei rivenditori verso la sostenibilità sia genuino e concreto.
Il linguaggio diventa quindi centrale, assume un ruolo importante proprio quando rivela tentativi di comunicare un posizionamento senza volutamente essere né specifico né fedele al significato. E che allo stesso tempo solleva al lettore elementi di ispirazione e si mostra facilmente associabile ai concetti che si desiderano comunicare.
La stessa ricerca prima citata ha individuato come termini che maggiormente influenzano il comportamento di acquisto le parole “biodegradabile, riciclato, riciclabile, carbon neutral, sostenibile”, e come termini che invece scoraggiano il consumatore le parole “powered by nature, organico, eco-friendly, green, naturale”. 
Risulta evidente che più i termini sono vaghi e generici e maggiore è lo spazio lasciato al greenwashing e al sospetto negli interlocutori.

 

Sustainability on the go

Dobbiamo allora ripartire dall’affermazione di Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia, che promuove un approccio alla sostenibilità molto pragmatico, come un percorso di continua evoluzione.

Everything man does creates more harm than good. We have to accept that fact and not delude ourselves into thinking something is sustainable. Then you can try to achieve a situation where you’re causing the least amount of harm possible. That’s the spin we put on it. It’s a never-ending summit. You’re just climbing forever. You’ll never get to the top, but it’s the journey.
Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia

Cosa posso comprendere di un prodotto che viene definito “naturale”? Forse che proviene dalla natura, che la materia di cui è costituito è fornita da madre natura? Dovrebbe bastarmi per concludere che non ha impatti negativi sull’ambiente? Certamente no.
E questa riflessione vale anche per altri termini come “green”,”etico” e tanti altri. 
Anche il termine “biodegradabile” che ha delle basi scientifiche, lascia spazio ad una interpretazione che potrebbe non rispecchiare la realtà; infatti i materiali sono biodegradabili solo se processati in modalità specifiche, che dipendono spesso dalla società locale di smaltimento. 
La stessa pratica di Carbon Offset viene messa in discussione, prestandosi a vari gradi di greenwashing.

Sempre più il pubblico è portato ad associare un linguaggio vago e generico al tentativo attribuire virtù inesistenti e di coprire una assenza di azioni concrete sul tema della sostenibilità. Una regola che vale anche per la parte visuale della comunicazione, immagini generiche, spesso già viste altrove, richiamano il tentativo di calare una velo green su una situazione non così virtuosa. 
Bisogna quindi impegnarsi a iniziare le riflessioni della comunicazione e anche del processo creativo partendo dalla realtà dei fatti, soprattutto da quelli che possono essere misurati quantitativamente, cercando sempre di comunicare non tanto valori assoluti ma un percorso in continuo divenire, uno sforzo continuo che tende ad un nuovo equilibrio che non si potrà mai raggiungere completamente. Intendiamo un modello di “sustainability on the go”, in continua e permanente evoluzione per non solo continuare a ridurre l’impatto negativo delle attività aziendali ma anche per ricercare nuove soluzioni alle tante sfide che dobbiamo affrontare. In una frase, imboccare la strada che porta dall’ESG all’Impatto.

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