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Cop26, firmato il patto di Glasgow: com'è finita la conferenza sul clima

La volontà di cercare una cura efficace e duratura si scontra ancora una volta con gli interessi nazionali. Con qualche passo avanti. Il punto di Silvia Randazzo, nostra consulente sulla Sostenibilità.

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Cop26, firmato il patto di Glasgow: com'è finita la conferenza sul clima
20 Novembre 2021

Com’è andata la Cop26?

Eccoci con un commento a mente fredda sulla conferenza sul clima di Glasgow: vi presentiamo una sintesi dei principali punti di attenzione.

Obiettivi di riduzione

Il Glasgow Climate Pact pone per la prima volta l'obiettivo di diminuire del 45% entro il 2030 le emissioni di CO2 rispetto al 2010, invitando gli Stati a massimizzare gli sforzi per fermare l'aumento della temperatura media globale “ben sotto i 2 gradi” e nell'intorno di 1.5 gradi. Si specifica anche l'obiettivo-meno definito- di raggiungere "intorno alla metà del secolo" (momento interpretato da alcuni Stati come 2040, da altri come 2070) net-zero emissions, ovvero il completo bilanciamento fisico tra emissioni prodotte e quantità di gas serra sottoposto a misure di cattura e stoccaggio.

Finanziare la mitigazione

Viene riconosciuto il non raggiungimento dell'obiettivo posto a Copenaghen nel 2009 di supportare, entro il 2020, i Paesi meno sviluppati con 100 miliardi di dollari all'anno a sostegno della transizione energetica. Il traguardo viene posticipato al 2023. In seguito, tra il 2025 e il 2030, l'impegno preso è di aumentare e persino raddoppiare gli stanziamenti.

Finanziare l'adattamento

Viene sottolineata ed enfatizzata l'urgenza di finanziare azioni che permetteranno lo sviluppo di soluzioni che di adeguamento alle future condizioni climatiche. Tuttavia, non vengono definite somme o modalità di azione.

Loss and damage

La formula indica i risarcimenti richiesti alle economie più avanzate da parte Paesi meno sviluppati, ma più vulnerabili alla crisi del clima. Il patto si limita a riconoscere il diritto a perdite e danni ed invita gli Stati a rafforzare le partnership, senza entrare nel merito nella definizione di somme, di tempi o di modalità di attivazione di meccanismi di restituzione già in parte esistenti (come il Santiago Network-rete per mettere in contatto Paesi in Via di Sviluppo e operatori di supporto).

Fonti fossili e carbone

Nelle bozze e durante le giornate di discussione, si era delineata la concreta speranza di debellare per sempre il carbon fossile dal panorama delle possibili fonti energetiche. Così non è stato. Il pugno di ferro di alcuni Stati (India in primis) ha portato a cambiare la formula proprio in dirittura di arrivo, con forti critiche anche da parte di alcuni Stati non convenzionalmente inseriti nella lista dei Paesi Sviluppati, come Messico e Fiji. La versione finale del documento invita gli Stati ad "accelerare gli sforzi verso il RALLENTAMENTO dell'uso del carbone non sottoposto a misure di abbattimento, e verso la dismissione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili". Si stabilisce quindi che il carbone potrà ancora essere utilizzato in combinazione con misure di cattura e stoccaggio delle emissioni, senza specificare in che percentuale rispetto al totale e con quali tecnologie. Altrettanto vago è il termine "inefficienti" con riferimento ai sussidi per i combustibili fossili.

Mercato del carbonio

Dopo sei anni, è stato raggiunto l'accordo per regolamentare il mercato dei crediti di carbonio, senza quantificare le trattenute sulle transazioni destinata a sostenere i Paesi in Via di Sviluppo; né i crediti maturati all'interno dei protocolli di Kyoto grazie alla riduzione della deforestazione, che sarebbero stati di aiuto per tanti piccoli Paesi.

Altre emissioni 

Il punto 19 del Patto invita le parti a ridurre, entro il 2030, anche le emissioni di altri gas serra; primo tra tutti il metano. Su questo punto, tra gli accordi collaterali, spicca l'iniziativa di limitare del 30% le emissioni di metano tra il 2020 e il 2030. L' iniziativa, guidata da Stati Uniti ed Europa, è stata sottoscritta in totale da 105 Paesi tra i quali non compaiono Cina, Russia e Australia.

Deforestazione

Il patto enfatizza l'importanza di "proteggere, conservare e ristorare natura ed ecosistemi; comprese le foreste e gli altri habitat sia marini che terrestri, per raggiungere l'obiettivo di lungo termine di utilizzarli come pozzi di carbonio e preservare la biodiversità". Ciò si è tradotto, attraverso un'altra iniziativa collaterale, nello stanziamento di 12,2 miliardi di dollari per finanziare lo stop alla deforestazione entro il 2030. All'iniziativa non ha aderito l'Indonesia, uno dei Paesi più colpiti dalla deforestazione.

Il barometro

L'accordo, seppur sommessamente, riconosce all' International Panel on Climate Change (IPCC) la responsabilità di definire le soglie rispetto al clima. A bassa voce i Paesi riconoscono che, in linea di massima, il riferimento per la gestione dell'emergenza climatica non è più la politica, ma la scienza.

Trasparenza

Dal 2024 si prevede che gli Stati debbano garantire trasparenza del sistema di contabilità delle emissioni, riportandole suddivise per settore e tipo di gas a effetto serra. Viene riconosciuta flessibilità ai Paesi in Via di Sviluppo, e consentito di evitare di consegnare alcuni dati oppure di riempire le caselle mancanti o con la sigla Fx (che sta per flessibilità).

Pianificazione

Secondo il documento di Glasgow, ogni Paese dovrà fornire alle Nazioni Unite i propri Nationally determined contributions (NDC), piani quinquennali di riduzione delle emissioni in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi, incoraggiando gli Stati a consegnare a partire dal 2025 i propri NDC per il periodo 2030-2035. Molti tuttavia ancora i Paesi che non hanno consegnato i propri piani Nazionali 2025-2030. A questi è stato concesso tempo fino al prossimo anno, sottolineando l'insufficienza degli impegni ad oggi sottoscritti.

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